Archivio | aprile, 2011

treni

26 Apr

Sono in ritardo – come al solito.

Corro tra un marciapiede e l’altro, con il sudore sulla fronte che si mescola alle gocce di pioggia.
La banchina accanto al tuo treno è ormai vuota. Ti cerco nelle figure che riempiono la stazione.
Non ti trovo.
Esco sull’altro lato della stazione.
Su un muretto delle gambe attendono in un modo che mi è familiare.
Siedi triste e non ti importa niente della pioggia: temevi non venissi.
Ti accorgi dei miei occhi.
Mi guardi, non ti muovi.
Ti guardo, continuo a camminare verso di te.
Seguo il filo che ci unisce fino a raggiungere il muretto. Mi siedo accanto a te.
Stiamo in silenzio.
Hai le dita aggrovigliate nei capelli bagnati.
Quelle dita che occupano ogni mio pensiero…
Non succede niente. Qui. Mentre lì la città continua a correre, la pioggia continua a scendere, i treni continuano a partire e i minuti a passare.
Faccio un profondo respiro, e il tuo profumo mi inonda le narici. (non lo ricordavo così dolce)
Ti abbraccio.
La pioggia mi aiuta a nascondere le lacrime.
Non so quanto tempo sia passato così.
Le uniche parole che ci scambiamo sono tue: “Parte il treno”.
Non vuoi che ti ci accompagni.
Ma lo faccio lo stesso.
Sali, e io resto a guardarti dal finestrino.
Ti guardo, non mi muovo.
Mi guardi, lacrime. Scendono dai tuoi occhi fino alle tue labbra, che mi chiamano.
Il capotreno fischia.
Ti lascio al finestrino e corro; mi infilo mentre le porte si stanno chiudendo. Il treno parte.
Ed eccomi dal tuo stesso lato del vetro.
Sul sedile accanto al tuo c’è una signora; mi ci siedo in braccio e questa volta ti parlo io: “ciao”. E ti bacio.
Ora le lacrime scendono dai tuoi occhi alle mie labbra.
Sono salate.
Ma dolce è il tuo profumo.

Non mi piace perdere treni.

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per sempre

18 Apr

Tutto è bianco.
Poi un cerchio. Rosa.
Da lì parte una striscia che si trascina fino a una biforcazione. Queste due strade finiscono in altri due cerchi più piccoli, marroni.
Accanto al primo cerchio rosa, eccone un altro.
Con un’altra striscia che prende anche quella due vie che terminano in due piccoli cerchi marroni.
Sotto ai grandi cerchi, quattro rametti – due ciascuno. I rametti più esterni si concludono con un piccolo cerchio, quelli interni finiscono per toccarsi, così si uniscono nello stesso cerchio rosa.
È il momento dei capelli, degli occhi e dei due sorrisi.
Siamo tu e io, che ci teniamo per mano.
In questo disegno che ci dona l’eternità.

Il nostro bambino è proprio bravo a disegnare.

tasti di pianoforte

11 Apr

Notte.
Apri gli occhi e le mie lenzuola sono stropicciate e vuote.
Posi i piedi sulle assi del pavimento. Accendi la candela e ti avvii verso la porta. Stai per afferrare la maniglia e senti una musica arrivare da di là. Non è una musica educata: pigio sui tasti del vecchio pianoforte come un bambino che disegna coi pastelli a cera; esploro, esco dai contorni, sorprendendomi.
Sorridi, e resti un po’ a godere di quelle dissonanze attraverso il legno della porta.
Certo non potremo mantenerci con la mia musica…
Ma non ti interessa, è bella così. Ti piace che mi eserciti tutto il tempo a non imparare, a tenere allenata la fantasia e non la regola; a disimparare.
Giri il pomello della maniglia.
I tuoi piedi nudi cercano di non disturbarmi sulle assi scricchiolanti.
Copri la candela con le mani per guardarmi illuminato dalla luce della finestra.
Sono azzurro e candido sotto la luna, nelle mie incertezze. Ti piace ammirarmi di nascosto, senza che io lo sappia. Non me lo dirai mai.
Ed è un bel segreto.
Suono, ma le nostre orecchie sono per il fuori dalle grandi finestre, dove le nuvole si rincorrono indecise se essere grige o arancio…
Per strada qualcuno cammina sotto lampioni piangenti. E i nostri respiri ne seguono i passi. Poi si allontanano. E, senza saperlo, stiamo respirando insieme.
Penso ai tuoi profumi. Pensi alle mie carezze.
Tutto è fermo, e la musica è per te.

parlami d’amore Mariù

4 Apr

Un tempo che non abbiamo mai vissuto. Se non nelle rovinate foto dei nostri nonni, in una semplice Italia.
Sembra incredibile, eppure i colori ci sono, non è tutto in bianco e nero.
La primavera germoglia sulle sponde del Tevere. Il baretto ha messo i tavoli fuori, sotto le piante.
Gli anziani si fanno un grappino e giocano a carte.
In famiglia siamo tanti, e i soldi non sono molti, ma voglio fare bella figura con te: ho messo la giacca elegante di papà; mi sta larga, e ha le spalle più grandi delle mie, che sono magrolino. Ho colto anche qualche fiorellino da un prato, perché mi hanno detto che quando ci si incontra con le ragazze si usa così.
Sono un po’ agitato, e giustifico a me stesso il sudore dando la colpa al sole che fa capolino tra le foglie.
Si alza un piccolo venticello, una carta da gioco cade dal tavolino, la seguo nel suo rotolare, fino a quando incontra delle scarpette azzurre. Il mio sguardo allora abbandona la carta in favore di caviglie sottili, un’ampia gonna a fiorellini, delle mani attente, un golfino leggero, delle spalle timide, un collo candido e un sorriso per me.
Il cuore fa un salto.
Per un attimo parlano solo le foglie e la luce.
Mi vedi che cerco di abbozzare un sorriso il più naturale possibile, poi metto insieme dei passi fino ad arrivare a te, e davanti al tuo viso spunta un mazzetto di fiori di campo. Sono colorati e profumano di sincerità. Li prendi e mi dai un bacio sulla guancia.
È il nostro primo appuntamento.
Ce ne saranno altri?
Chi se ne frega: oggi ti sono vicino, perché sospirar?
Ti prendo per mano e ti porto dentro al locale, dove è fresco e ancora più lento.
Faccio come se io sapessi quel che sto facendo e ordino due bicchieri per noi.
Intanto qualcuno accende la radio. La musica accarezza le orecchie di tutti noi al bar, colorandoci il pomeriggio, a ognuno con colori diversi. La voce che canta la riconosco: è quell’attore del cinematografo…
Senza rendermene conto ti sto stringendo la mano, e l’altra arriva alla tua schiena. Le nostre gambe si lasciano andare al ritmo del pianoforte.
Ora sorridiamo con naturalezza.
Mi faccio coraggio e incrocio il tuo sguardo, che è così vicino: gli occhi tuoi belli brillano.

 

Ora sono passati tanti anni.
Le mie spalle sono cresciute e riempiono le giacche.
Quei signori hanno smesso di giocare a carte.
Quel bar ha probabilmente chiuso.
Ma a me piace ancora mettere su quel disco, prendere la tua mano e ballare con te, sorridendoci: non era un’illusione, e sul tuo cuor mi hai permesso di non soffrire più.